LA PAROLA IMBEVUTA



La parola imbevuta ritorna colori in mantra ripetuti.
Codici appresi estrudono superfici raccontando sensibilità.

Nell’affollato mondo della manifestazione artistica contemporanea, che mostra una audacia sempre maggiore nell’esibizione di performance volte più a stupire che non a proporre linguaggi e concetti nuovi, non sempre è cosa semplice muoversi, ed in particolare non sempre è facile rimanere coerenti con i propositi iniziali, soprattutto laddove, questi, richiedano di essere sviluppati attraverso linguaggi ancora sperimentali. Questa serie di opere, vogliono consentire anche a una persona non vedente di immaginare di godere delle suggestioni di un’arte che recupera la sua funzione educatrice all’interno della società, ma prima ancora nella vita individuale di chi, con curiosità e con spirito accondiscendente, accetta l’espediente adottato dall’artista, proposto nelle opere “BRAILLE”, di veicolare con un quadro, un concetto tramite il senso del tatto e non quello tradizionale della vista. Espediente questo, obbligato dai presupposti di partenza, ma che nulla inficia alla portata suggestiva dell’opera tutta; infatti essa si muove nel campo dell’immateriale, del non visto, ma solo del percepito: ecco la parola chiave, percepire. In questo senso, a poco servirebbe avere il dono della vista se l’opera inscena una primavera o la forza di gravità, il soggetto pittorico diventa idea, sensazione che può essere democraticamente intesa da vedenti e non vedenti in ugual modo. (vedi opere).

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